mercoledì 12 maggio 2021

DISCORSO DI E. MACRON SU NAPOLEONE (2021)

Signor primo ministro, signor presidente del Senato, signor presidente dell’Assemblea nazionale, signore e signori, cari liceali, grazie per questo invito e per la delicatezza che avete usato nel fare tutto il necessario per ospitare questa commemorazione. Sono felice di ritrovarvi in questo luogo. “Le sole conquiste che non lasciano nell’animo amarezza sono quelle che si vincono contro l’ignoranza”. Se cito questa frase non è solo perché è stata scritta da Napoleone Bonaparte il giorno della sua elezione qui all’Institut, il 25 dicembre del 1797, ma perché descrive in qualche modo ciò che ci riunisce tutti qui, ognuno di noi, in occasione di questo bicentenario: la lotta contro l’ignoranza, l’amore per il sapere e per la storia e la volontà di non arrendersi a quelli che vogliono cancellare il passato col pretesto che non corrisponde all’idea che hanno del presente. 

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No, Napoleone Bonaparte è parte di noi, lo è perché pronunciare il suo nome continua a far vibrare ovunque mille corde del nostro immaginario: le cannonate della Campagna d’Italia, le spade di Austerlitz, le suppliche tremanti dei soldati della Grande Armée impegnati nella Campagna di Russia. Napoleone Bonaparte è parte di noi perché l’azione e le lezioni del guerriero, dello stratega, del legislatore e del costruttore si conservano ancora nel nostro secolo. Lo è poiché, man mano che il suo mito si costruiva, diventava quella parte di Francia che ha conquistato il mondo. Chateaubriand, di cui avete ricordato la relazione tumultuosa con l’Imperatore, ha colto in termini che risuonano ancora oggi questo paradosso: “Da vivo ha perso il mondo, da morto lo possiede”. 

 

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Voi siete dei liceali e per lo stesso liceo, per le scuole che frequenterete dopo, l’università o o la grande école dobbiamo qualcosa a Napoleone. Per venire qui all’Institut de France avete attraversato Parigi e probabilmente siete passati davanti all’Arco di Trionfo, la chiesa della Madeleine, la colonna Vendôme, il ponte di Austerlitz o di Iéna, avete percorso rue de Rivoli: anche questi capolavori di architettura li dobbiamo a Napoleone. Sono lì, che vivono. E ben pochi destini, bisogna dirlo, hanno forgiato tante vite al di là della loro. E’ ciò che fa sì che ci riuniamo in questo giorno non per lasciarci andare a una celebrazione esaltata come fece nel 1840 il popolo di Parigi al ritorno delle ceneri dell’Imperatore, ma per una commemorazione illuminata, per guardare in faccia la nostra storia, e nel suo complesso. Per dire come nazione ciò che Napoleone dice di noi e ciò che abbiamo fatto di lui. 

 


Napoleone, nel 1802, ha ristabilito la schiavitù che la Convenzione del 1794 aveva abolito. Nel 1848, con Victor Schoelcher, la Seconda Repubblica ha riparato questo errore, questo tradimento dello spirito dei Lumi. Ha onorato al Pantheon tutti quelli come Toussaint Louverture e l’abate Grégoire che mantennero alto l’onore dell’universalismo. Napoleone, nelle sue conquiste, non si è mai veramente preoccupato delle perdite umane. Chateuabriand si spingerà fino ad accusarlo di aver sacrificato con forza ed esagerazione, bisogna dirlo, cinque milioni di francesi. Goya immortalò il cruento massacro dei civili spagnoli nel 1808. 


Da allora, abbiamo posto il valore della vita umana al di sopra di tutto, sia nelle guerre sia nelle pandemie. Napoleone, fedele allo spirito del 1789, ha inciso nel marmo l’uguaglianza civile tra gli esseri umani nel Codice civile, la protezione della legge per tutti con il Codice penale. Noi abbiamo continuato quell’opera di progresso agendo per l’uguaglianza tra le donne e gli uomini e ritirando dal Codice penale la più crudele delle punizioni: la pena di morte. Così come abbiamo allargato il cammino del merito tracciato con il baccalauréat, aprendo progressivamente il nostro sistema educativo a un maggior numero di persone. In fondo, dell’Impero abbiamo rifiutato le cose peggiori, e dall’Imperatore abbiamo conservato le cose migliori. 


Commemorare questo bicentenario significa dire queste cose, semplicemente, serenamente, senza cedere mai alla tentazione del processo anacronistico, che consisterebbe nel giudicare il passato con le leggi del presente, bensì ripercorrendo ciò che noi francesi siamo: una società storica, un paese che esiste da tanto tempo, che avanza senza cancellare, senza negare né rinnegare, ma reinterpretando continuamente, riconoscendo, cercando di capire. Una nazione che riceve le eredità senza un testamento, da popolo libero. “Da Clodoveo al Comitato di Salute Pubblica rivendico tutto”, diceva Napoleone. Anche noi, oggi, rivendichiamo tutto.  

 


Ma la vita e l’opera di Napoleone non valgono solo per ciò che ne abbiamo fatto in quanto nazione. Se la sua influenza è senza frontiere, se la sua lucentezza resiste all’erosione degli anni, è perché incarnando l’universale la sua vita porta in qualche modo in ognuno di noi un richiamo intimo fatto di virtù antiche e di paradossi contemporanei. La vita di Napoleone è anzitutto un’ode alla volontà politica. A quelli che credono che i destini siano già stabiliti, che le esistenze siano scritte in anticipo, il percorso del figlio di Ajaccio diventato padrone dell’Europa mostra chiaramente che un uomo può cambiare il corso della storia. Cancellare le sue decisioni, il suo genio militare, la sua energia, le sue soluzioni tattiche a Toulon, Austerlitz, Friedland o Wagram, il volto del mondo di ieri così come quello di oggi ne sono stati cambiati. Immaginatevi se fossero riusciti i tentativi di assassinio de la rue Nicaise o di Vienna: il destino della Francia non sarebbe stato lo stesso. Amiamo Napoleone perché la sua vita ha il sapore del possibile. Perché è un invito a prendersi dei rischi, ad avere fiducia nell’immaginazione, a essere pienamente se stessi. La vita di Napoleone è anche un canto della ragione. E’ stato probabilmente uno di quelli che ha messo in pratica nel migliore dei modi l’eredità dei Lumi, la fiducia nella scienza, l’arte dell’organizzazione e tutta l’eredità del Diciottesimo secolo. Nel Memoriale di Sant’Elena vengono descritti le sue capacità fuori dal comune in matematica, i trattati di aritmetica e di fisica divorati, i giorni e le notti trascorsi sulle opere di strategia militare. Gaspard Gourgaud, uno dei suoi compagni d’esilio, dirà persino dell’Imperatore che era un sistema di Spinoza. Ma al di là della sua costruzione personale, Napoleone volle che la scienza, la ragione e la tecnica irrigassero il paese nella sua totalità per condurlo verso il cammino del progresso. Ci fu la riforma dell’École polytéchnique, che diede e dà ancora alla Francia generazioni di ingegneri di altissimo livello, per l’arte militare ci fu Saint-Cyr, che formò e continua a formare brillanti ufficiali. 

 


Napoleone stesso volle contribuire al progresso del sapere scientifico e della ricerca.    La campagna d’Egitto, per citare un esempio, più ancora che un’impresa militare di conquista fu una spedizione scientifica.


Napoleone radunò più di 150 matematici, chimici, geometri, architetti, medici, botanici tra i più famosi del suo tempo per formare una commissione per la Scienza e per l’Arte che aveva il compito di studiare la civiltà, la fauna, la flora e le tecniche di amministrazione dell’Egitto. Lo fece e permise di reperire una quantità di conoscenze che furono utili a tutti.


Infine la vita di Napoleone è un’epifania di libertà, nonostante i suoi paradossi, nonostante tutto quello che anche qui è stato giustamente  ricostruito riguardo a come gestì la libertà degli altri. Ma se Napoleone è il primo dei romantici non è solo perché ha affascinato lo zar Alessandro durante il loro incontro a Erfurt, non è solo perché che Stendhal lo adorava o perché è stato immortalato nei quadri, al ponte di Arcole e o con i capelli al vento. No, non è per questo, ma perché ogni volta, in ogni momento e in ogni aspetto Napoleone  reinventava la sua esistenza, ed erano tutte infinitamente libere. 


Una forza che va. Così nei suoi amori che ha sempre impostato badando al proprio cuore, fino al divorzio dopo essere stato incoronato dal Papa. Lo stesso vale per il suo genio militare fatto di una grande maestria, di strategie e dell’arte di muoversi a sorpresa.  


Lo stesso vale per le sue debolezze o la  malinconia di Sant’Elena. E per le sue contraddizioni: individualista che sapeva unire, lucido, incosciente, despota, illuminato. Napoleone era capace di grandezze assolute, di modestia provocatoria, di successi da sogno e di enormi sconfitte. E’ stato l’incarnazione della libertà come della repressione poliziesca, poteva essere allo stesso tempo “l’anima del mondo” descritto da Hegel nell’incontro a Jena e il demone dell’Europa, rovescio funesto della sua libertà senza limiti.

 


Quel che Napoleone rappresenta nella costruzione di questa nazione si ritrova qui dove sono anche io ora. Napoleone è l’uomo che ha dato forma alla nostra organizzazione politica e amministrativa, che ha dato forma alla sovranità riconquistata che era stata prodotta dalla Rivoluzione. E il dibattito sul suo lascito  divideva i suoi contemporanei come lo fa ancora oggi.

 


Napoleone seppe dare una forma durevole all’intuizione geniale della Rivoluzione riguardo la sovranità nazionale. Comprese molto velocemente la necessità di rispondere alla vertigine della fine del diritto divino, sostituendolo con un’altra legittimità, un’altra trascendenza. Questo fu per lui il popolo francese. Tutto quel che è fatto in nome del popolo è legittimo. Ma dietro questo popolo francese, così rafforzato, così delineato come nuovo focolare della sovranità nazionale, di una trascendenza così ritrovata, c’erano naturalmente le libertà democratiche, c’era anche la forma dello stato. Uno stato che lavorava con i prefetti e i sindaci in tutto il paese  in modo da conservare una nazione con tutte le sue istituzioni ben funzionanti.


Napoleone comprese anche di dover cercare senza sosta l’unità e la grandeur del paese. Lo fece con la guerra, rispondendo anche alla sete francese dell’universale proiettando un modello rivoluzionario a livello europeo. Lo fece rappacificando le grandi religioni con il Concordato, lo fece attraverso le arti, lo fece volendo trovare una riconciliazione tra ciò che la Rivoluzione aveva tirato fuori con il sangue. E se non rinunciò mai al principio del merito e dell’uguaglianza nell’accesso alle cariche, Napoleone fu anche l’artigiano dell’amnistia di un partito di monarchici, di un’unità incarnata nel suo stesso governo. Al fondo fu l’attore risoluto di una sintesi nazionale che si concretizzava nei simboli della sua stessa sacralità. 


L’ultima sua intuizione fu quella di compensare il vuoto lasciato dalla figura reale il 21 gennaio. La soluzione è un ossimoro straordinario, la repubblica di un impero, e Napoleone diventa  l’imperatore dei francesi. Per ambizioni personali, sicuramente, e per la volontà assoluta di incuneare la Rivoluzione nel tempo che viveva altrettanto sicuramente. 


I francesi nel 1789 fecero il più grande sforzo mai fatto da alcun popolo, tagliando in due il loro destino, sottraendosi all’abisso di quel che erano stati fino a quel momento e di quello che avrebbero voluto essere da quel momento. Il genio di Napoleone fu di aiutare i francesi a rompere in modo definitivo con quel che avevano deciso di abbandonare nel 1789 e di oltrepassare questo abisso. Napoleone non poteva tuttavia celebrare la Rivoluzione e allo stesso tempo impedire ai francesi di gustare la libertà e in questo il 1789 fu più forte di Napoleone. 


Voi siete dei liceali, e come francesi vi iscrivete anche voi in questa storia. Non ne siete né responsabili né guardiani, potete amarla o criticarla, ma dovete conoscerla, impararla. E’ quel che vi costruisce, un viatico per affrontare questo secolo: fa parte di voi e tocca voi continuarla. Allora senza dubbio, la vita di Napoleone e i suoi chiari e scuri non hanno ancora rivelato tutti i loro segreti, ma in modo incontestabile continua a forgiarci e il sole d’Austerlitz brilla ancora.


Viva la Repubblica, viva la Francia

EMMANUEL MACRON


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